È
un po' questo il lato negativo dell'estate; il caldo ammorbidisce il
cervello, mette in pausa i neuroni e anche se leggi qualcosa di
interessante su cui si potrebbe dissertare per ore, finisci per
rimanere appollaiata sulla sedia pensando a cosa scrivere subito dopo
il titolo. E allora ti risolvi ad attendere che i neuroni tornino a
funzionare, ma il caldo torna più forte ed è un circolo del disarmo
cerebrale che ti obbliga ad abbandonare il blog per giorni.
I
capelli di Harold Roux di Thomas Williams, edito da Fazi
nella traduzione di Nicola Manuppelli e
Giacomo Cuva. Un libro che mi aveva attirato un sacco fin dalla
sua uscita e che sono riuscita a farmi regalare da un compiacente
genitore – che così poi glielo passo – a Natale. Non so perché
ci sia voluto così tanto perché mi decidessi a leggerlo, mi
chiamava ogni volta che mi avvicinavo alla libreria. Eppure.
Inizio
col dire che questo libro riesce ad essere meta-narrativo senza
sembrarlo affatto. Parla di uno scrittore e del suo processo di
scrittura, racconta di pari passo le vicende di Aaron Benham,
professore universitario e scrittore che si aggira intorno alla mezza
età, con una moglie e due bambini, intervallandole col libro che sta
scrivendo o che dovrebbe scrivere, le peripezie universitarie e
amorose di Allard, un ventenne orrendamente sicuro di sé il cui
migliore amico, Harold Roux, porta il parrucchino già a ventiquattro
anni. Che non è proprio una grande presentazione, ma adesso mi
prendo due righe per spiegare la precedente affermazione, quella
secondo cui il romanzo è meta senza sembrare meta.
Leggendo
pare che a Williams non importi particolarmente delle riflessioni
sulla scrittura. Non so se sarò pienamente in grado di spiegare le
motivazioni di questa impressione. Forse è il fatto che l'attenzione
è puntata più su Aaron e Allard come esseri umani, come persone.
Non si struggono granché davanti alla scrivania implorando per avere
l'ispirazione, non si crucciano sulla verità della parola scritta,
su ciò che significa davvero scrivere. Il foglio bianco e la
fragilità dell'intreccio, che nella meta-letteratura assumono
posizioni predominanti, qui paiono messi in secondo piano rispetto
all. Eppure di storie e di scrittura si parla, e molto. Si parla
anche del rapporto di Aaron col pubblico, del blocco dello scrittore
che ha colpito un suo amico e collega, totalmente incapace di andare
avanti con una tesi con la quale è in terribile ritardo, nonostante
rischi il licenziamento. Anche nel libro di Allard si parla di
scrittura, anche se in maniera soffusa, poco esplicita, attraverso il
romanzo dello stesso Harold Roux, una pappetta insignificante che
Allard non sa bene come stroncargli senza stroncare l'amico stesso.
Ma
magari cerco di mettere un po' d'ordine, anche se probabilmente ho
già detto tutto quello che c'è da dire. Il protagonista, Aaron,
vive nelle vicinanze del campus universitario insieme alla moglie e
ai due figli, che per tutta la durata del romanzo rimangono fuori
scena, dai genitori di lei. Compaiono solo retrospettivamente, o
nelle riflessioni del protagonista, che si strugge per la loro
assenza. Aaron è nel pieno del suo anno sabbatico, durante il quale
vorrebbe scrivere la storia di Allard, promettente universitario poco
più che ventenne, uno sbarbatello certo di essere un uomo, acuto e
affilato, con l'indifferenza e l'egoismo di chi non vuole pensare
alle conseguenze dirette e indirette delle proprie azioni. Aaron
pensa al suo romanzo, fa visita all'amico George e alla moglie Helga,
che rischiano di perdere la casa se George non riuscirà a finire la
tesi. E nel frattempo Allard vive nel dormitorio, discute di etica
con Harold Roux – un moralista puritano tutto etica – e seduce
Mary, di cui Harold è follemente innamorato – anche se si tratta
di uno di quei casi in cui più che innamoramento si parla di
idealizzazione, ma se Harold è convinto che sia amore, contento lui.
Il
romanzo di Aaron, ovvero le vicende di Allard, dovrebbero essere
crude, dure. Il libro si preannuncia come “una semplice storia di
seduzione, stupro, follia e omicidio”. Eppure c'è questa pacatezza
di fondo che mi ha impedito di esserne disturbata anche in minima
parte. Sarà un po' il punto di vista parziale e annacquato, quello
di Allard, ma la gravità di ogni azione pare diluita, se a compiere
l'atto è qualcuno nella cerchia di Allard. I cattivi ne stanno al di
fuori.
Questo
libro è stato pubblicato in America nel 1974 ed è stato insignito
del National Book Award l'anno seguente. Siamo ancora nel pieno della
riscoperta dei libri-che-potrebbero-diventare-classici messa in atto
da Fazi. Spero davvero tanto che questo scavo nella letteratura
perduta vada avanti.
Intanto
questo libro lo consiglio. Molto. Tanto.