Anna di Niccolò Ammaniti

È bene che io riprenda a curarmi del blog, dopo la considerevole pausa durata ben quattro giorni, parlando di libri. In realtà mi piacerebbe chiacchierare della mia laurea, di com'è andata, di come ho festeggiato, del fatto che mi sono trasferita a Torino a casa di un'amica e spero di riuscire a collocarmi in modo proficuo nella città (leggesi: trovare lavoro) e delle bancarelle di libri usati che spuntano ovunque, infestandomi i sogni. Però no, la prossima volta. Che poi potrei anche decidere di tacerne, che questo blog è dedicato ai libri, non è il mio diario né il mio quaderno degli appunti. Però, non so. Questo blog c'era durante le mie peripezie universitarie, durante il periodo di crisi che mi ha portato a cambiare corso di studi, e in tanti mi avete fatto gli auguri per la laurea. Quindi, non so. Mi sembrerebbe un po' di tagliare fuori l'organismo Leggivendola, fatto di voi e di me e di quello che scribacchio, se eludessi completamente l'argomento. Però, dicevo, ne chiacchiererò più avanti.
Adesso è bene che mi concentri su Anna di Niccolò Ammaniti, edito da Einaudi pochi mesi fa e amorevolmente regalatomi da mio padre per il mio compleanno.
Non ne avevo sentito parlare granché bene, ma pensavo che sotto le amare attese di fondo ci fosse il nome di Ammaniti, e il suo essere uno scrittore italiano mainstream, dunque condannato all'essere becero e misero nel suo mestiere. Ammaniti l'ho visto spesso accostato a quegli scrittori che devi fare del tuo meglio per non fare commenti, quando li vedi occhieggiare dagli scaffali altrui. È famoso, è italiano, l'assioma vuole che sia tanto leggero da non notarne l'assenza, o ammorbante quanto l'ebola. Invece è Ammaniti, e io lo adoro. Ho adorato Ti prendo e ti porto via, Come Dio comanda, Che la festa cominci. Quindi quando ho sentito voci meste parlare di Anna non mi sono fidata granché, pensavo fosse l'assioma a parlare.
E invece... nì. Anna, lo ammetto, ha un po' deluso anche me.
Parte a meraviglia. Parte con Anna, ragazzina, che va a caccia di cibo in una cittadina devastata della Sicilia. Il contesto non tarda a presentarsi in tutto il suo orrore: un virus misterioso ha ucciso tutti gli adulti, e ucciderà tutti i bambini non appena si affacceranno all'adolescenza. La massima età raggiungibile si aggira attorno ai tredici-quattordici anni, non di più. E Anna non è poi così lontana, questo è ovvio anche per come riesce a prendersi cura del fratellino Astor.
Abitano in una casa in campagna, la stessa in cui vivevano con la madre, che prima di morire a causa del virus si è premurata di scrivere Il quaderno delle Cose Importanti, una lista di tutto ciò che potrebbe venire utile a due bambini lasciati soli. Anna non vuole perdere il fratellino, e lo ritiene troppo piccolo e indifeso perché possa avere a che fare direttamente col mondo esterno, e gli ha raccontato che oltre il bosco che circonda la casa ci sono i mostri, e un gas tossico che potrebbe ucciderlo. Eppure un giorno, dopo essere andata in cerca di cibo e medicine, trova la casa svuotata del fratellino. Di Astor non c'è traccia, e dunque... beh, dunque accadono cose. E continuano ad accadere.
Ci sono cose che di questo libro ho apprezzato molto. Il rapporto plausibile tra Anna e Astor, ben lungi dall'essere quello che lega fratello e sorella in condizioni ottimali; ho apprezzato il cane, ho apprezzato la Picciridduna, il market dei fratelli.
Mi ha delusa, ma non vuol dire che sia bocciato in toto. Mi ha delusa perché a un certo punto si è perso. A due terzi del libro mi è sembrato che Ammaniti avesse perso il filo della storia, e avesse deciso di risolvere raccontandone un'altra a metà. Non posso commentare il finale se non raccontandolo in parte, quindi evito del tutto. Però non l'ho apprezzato, ecco.
Non so che altro dirne, né se consigliarlo o sconsigliarlo. Dipende, credo. Fino a 2/3 mi è piaciuto moltissimo, oltre è un altro libro. Onestamente, non saprei.