Vino, patate e mele
rosse – Joanne Harris – traduzione di Laura Grandi – Garzanti,
1999
Non posso farci niente,
ogni tanto devo tornare a parlare di lei. Ma lo farò brevemente, in
modo spiccio e fintamente indifferente, come se stessi redigendo un
elenco di cui non m'importa nulla. Nasconderò bene il mio fanatismo
sotto un tono freddo da commessa snob. Dicevo, Vino, patate e mele
rosse di Joanne Harris, tradotto come sempre da Laura
Grandi – qualche errore qua e là, ma niente di tremebondo. Che
dire? La storia di uno scrittore che pare aver perso la sua voce
narrante dopo il primo libro in cui fantasticava delle proprie estati
a casa dei nonni, da adolescente. La magia della Harris, che è
quella 'di tutti i giorni'. Una fuga inaspettata, una bottiglia di
vino come voce narrante, semi di patata, la stessa Lansquenet di
Chocolat – ma senza Vianne – in cui incontriamo Josèphine
e Narcisse... e beh, che dire? Mi ero ripromessa di non sdilinquirmi
ed evito di farlo. Voglio solo sottolineare quanto io adori il modo
in cui Joanne Harris intende la magia e come la intesse nelle storie.
La trama non ne è dipendente, niente può essere cambiato con due
tocchi di bacchetta o con un calderone fumante. Accade quello che
deve accadere. Mi limito soltanto a denotarvi che ho preferito questo
libro perfino a Chocolat. Punto. Non aggiungo altro. E se trovo
quelli che gli fanno una-due stelline su Anobii, gli spezzo quelle
dita esecrabili.
Guerre - Timothy
Findley - traduzione di Maria Cristina Savioli – Neri Pozza, 2005
Non capirò mai per quale
motivo quest'autore sia così poco conosciuto in Italia. Tanto per
farvi capire, ogni tanto cerco di stilare liste improbabili nella mia
testa. Elenchi, categorizzazioni, classifiche. Non so bene perché,
forse perché è più facile capire il mondo se lo dividi in piccoli
gruppi. È curioso come io cerchi di mettere ordine nella mia testa,
quando al di fuori mi rifugio in un caos piuttosto personale, ma sto
divagando. Avevo smesso di farlo, nelle recensioni, ma dopotutto ho
ancora il cervello straziato dalla lettura. Mi ci vorrà ancora un
po' per riprendermi.
Dicevo, le mie liste
mentali. Tempo fa volevo descrivere Chaim Potok a mia sorella e non
riuscivo a trovare le parole per farlo. Alla fine mi è uscito
soltanto che, se mi trovassi in una biblioteca in fiamme, i libri di
Potok sarebbero sicuramente tra quelli che cercherei di
salvare. E questo vale anche per Timothy Findley. Guerre non è il
suo capolavoro, ma è un'opera meravigliosa. Poetica, straziante,
commovente. Il protagonista, Robert Ross, impegnato in un inferno
tale che definirlo 'guerra' è riduttivo e insultante. Prima Guerra
Mondiale. Stralci di ricordi. Un disperato aggrapparsi alla propria
umanità. Ci sono libri sulla guerra che puntano sulla crudeltà che
sgorga dai soldati, strizzati dal sangue degli amici finchè non
esplodono in belve feroci. E poi ci sono altri libri, su uomini che
rimangono uomini e fanno del proprio meglio per restare incollati a sé stessi, nonostante
tutto.
Guerre, dicevo, non è il
capolavoro di Findley. Quello, per me, sarà sempre L'uomo che non
poteva morire, sempre edito da Neri Pozza. Così bello che ho voluto
condividerlo e così bello che non mi è mai tornato indietro. Ne
parlerò più avanti, non c'è dubbio. E ho troppe parole dentro per
poter aggiungere altro e chiudere questo post con un degno saluto.